La psicologia sperimentale, di Saverio Fortunato La psicologia sperimentale, di Saverio Fortunato

Prof. Dott. Saverio Fortunato
Specialista in Criminologia Clinica, Rettore e Docente di Criminologia all'Istituto Italiano di Criminologia degli studi di Vibo Valentia
Abilitato per l'insegnamento di Filosofia, Psicologia e Scienze dell'Educazione

 
 

E' ingannevole definire scientifica la psicologia
La psicologia sperimentale e il laboratorio di Wundt
di Prof. Saverio Fortunato
(Rettore e Docente di Criminologia all'Istituto Italiano di Criminologia degli studi di Vibo Valentia
Abilitato per l'insegnamento di Filosofia, Psicologia e Scienze dell'Educazione)

 
 

L’esordio della psicologia scientifica si è soliti indicarla con la nascita del laboratorio di Lipsia (1879),  fondato da Wilhelsm Wundt (1832-1920). Era il primo laboratorio di psicologia sperimentale ufficialmente dentro l’università, dove dedicò i suoi studi sui processi sensoriali (visivi ed uditivi). Fu un passo importante perché per la prima volta alcuni processi mentali venivano sottoposti al vaglio di metodi sperimentali, fatto questo che segnava una rottura rispetto il metodo filosofico di analisi della mente.

A riguardo, Umberto Galimberti afferma: «La psicologia scientifica ha risolto il concetto di psiche in quello di comportamento che, nel caso degli animali, equivale al comportamento osservabile dall’esterno, nel caso degli uomini si estende ai processi psicologici, sia consci che inconsci, attraverso i quali un soggetto costruisce le proprie risposte comportamentali»[1].

L'introspezione è "l'auto-osservazione interiore, cioè l'osservazione che l'io fa dei propri stati interni" (Nicola Abbagnano, 1960).
Comte aveva osservato contro l'introspezione una critica: "L'individuo pensante, aveva detto, non può dividersi in due, di cui l'uno ragioni, mentre l'altro lo guardi ragionare. L'organo osservato e l'organo osservatore essendo in questi casi identici, come potrebbe l'osservazione aver luogo?" (Cours de phil. positive, 1830, I, Sez. I, § 8). Comte quindi, aveva escluso la psicologia dall'enciclopedia delle scienze.

Wundt è stato indicato come il fondatore della psicologia scientifica, anche se lui preferiva la definizione di psicologia fisiologica. Fisiologica: sia perché faceva suo il metodo naturalistico della fisiologia e sia perché studiava l’attività psichica nella normalità, non nella patologia.

Wundt era affascinato dalle cosiddette "scienze esatte", in particolare dalla fisica e chimica.  Per questo pensò al laboratorio e alla psicologia sperimentale. L’oggetto di studio della psicologia, secondo Wundt, era l’esperienza diretta o immediata, a differenza delle scienze naturali che studiano l’esperienza indiretta o mediata. Difatti, osservava Wundt, mentre lo psicologo studia il fenomeno che osserva per come viene percepito direttamente, ossia senza la mediazione di strumenti di misurazione, il chimico o il fisico, invece, osservano il fenomeno; per esempio, osservando il calore che si produce in una reazione, ma l’oggetto del loro studio non è la percezione del calore, ma il calore percepito tramite la misurazione con gli strumenti di laboratorio[2].

L’INTROSPEZIONE

Wundt utilizzava come metodo d’indagine l’introspezione, vale a dire, «l’analisi degli stati emozionali e dei processi mentali del soggetto, concentrandosi soprattutto sulle esperienze interne della coscienza, ossia sulle sensazioni, sui sentimenti e sui pensieri. Per tale motivo, fino al 1920 essa veniva definita “la scienza della vita mentale»[3].

Solo attraverso l’introspezione l’individuo può essere in grado di rilevare cosa avviene nel momento in cui immediatamente sperimenta la realtà. Vale a dire, per poter capire cosa accade quando io vedo un colore, una forma, sento un suono, provo un sentimento, c’è un solo modo per farlo; vale adire, devo guardarmi dentro ed analizzare quello che sto provando mentre sto guardando il colore, la forma, il suono, ecc.
Tuttavia, Wundt era ben consapevole che l’introspezione non era uno strumento attendibile per un’indagine scientifica. I contenuti di coscienza, infatti, non sono gli stessi in presenza e in assenza di un atto di introspezione. Ciò perché, per esempio, una cosa è dire sono felice mentre mi sto analizzando i sentimenti che provo e un'altra senza rifletterci sopra. Difatti, l’introspezione altera gli stati di coscienza e quando io vado ad analizzarli con questo strumento, ne ricavo delle impressioni alterate. Con l’introspezione, quindi, come possiamo sapere qual è il reale contenuto di coscienza corrispondente al resoconto verbale di un soggetto? Se il soggetto mi dice “sono felice”, come faccio a sapere che è davvero felice? E chi mi assicura che il suo aggettivo “felice” ha lo stesso significato del mio?[4]

Wundt riteneva che l’applicazione del metodo sperimentale alla psicologia ed ai contenuti dell’introspezione, permetteva di risolvere il problema dell’indeterminazione nei contenuti dell’introspezione. Vale a dire, in tutte le scienze naturali, come predetto, quello che si studia non sono tanto i fenomeni in sé, ma le variazioni dei fenomeni, o meglio, le variazioni fra fenomeni diversi. Il mio problema non è tanto quello di dire cos’è esattamente quel felice di cui mi ha parlato il soggetto per la sua introspezione, ma come varia il suo sentimento al variare della situazione in cui il soggetto si trova.
Se si riscontra questa variazione, è questa la reazione interessante che diventa l’oggetto fondante dello studio della psicologia sperimentale e non tanto, invece, il valore di per sé di questo o quel sentimento o di questa o quella percezione.

La variazione, in quanto tale, non è influenzata né dalla presenza dell’atto di introspezione né dall’eventuale differenza di contenuti di coscienza tra soggetti. Se c’è variazione dei contenuti di coscienza e se io quello che voglio cogliere non è tanto il valore del contenuto in sé, ma questa variazione, al variare della situazione in cui colloco il soggetto, questa variazione, sarà indifferente al fatto se la racconti attraverso un atto di introspezione di Tizio, Caio o Sempronio, purché però si manifesti per tutti i miei soggetti dell’esperimento. Ciò, però, è solo un proposito teorico, ma non è scientifico, perché ogni soggetto può avere un suo modo di attribuire significato ai sentimenti ed alle parole e quindi cosa misuriamo? Del resto già con l'introspezione Wundt si era misurato con tale ostacolo e per tentare di risolverlo gran parte dei soggetti che utilizzava negli esperimenti erano costituiti da Wundt stesso e dai suoi assistenti, ma non ebbe successo (giacché il livello socio-culturale era pressoché equilibrato, ma pur facendo ciò, Wund stesso si rese conto che è solo teorico il proposito, ma non scientifico) .
C
on riferimento al 1879 e, ancora oggi, vige nella Psicologia il seguente (ingannevole) paradosso: mentre la "psicologia scientifica" è stata definita tale per la "psicologia sperimentale" di  Wundt, in realtà, non solo Wundt (utilizzando l'introspezione) utilizzava un metodo a-scientifico (quindi, "scientifica" perché?), non solo preferiva definirla "psicologia fisiologica" e non "psicologia scientifica", ma per primo toccò (nel laboratorio) i limiti della psicologia in quanto tale. Vale a dire, l'impossibilità ontologica di divenire una scienza, in quanto l'oggetto dello statuto epistemologico della psicologia, ossia la psiche (=anima), non esiste, è un'invenzione del linguaggio. E, per sua stessa ammissione, a nulla vale il metodo dell'introspezione (giacché altera lo stato di coscienza) ed a nulla la misurazione della variazione dei contenuti della coscienza, posto che ogni individuo è un individuo a sé ed i risultati cui si giunge con la ricerca non sono verificabili, ma sempre collocati e collocabili su un piano del tutto soggettivo ed opinabile (Fortunato S., 2007).
Nelle scuole superiori leggendo molti libri di testo si ha la sensazione che i vari autori si siano fatti una telefonata preventiva per concordare le inesattezze da scrivere; oppure è come se l'uno s'ispiri dall'altro.  Gli autori Maria Bernardi e Anna Condolf, per esempio, nel libro ad uso dell'istituto tecnico dei servizi sociali, editore Clitt, a p. 14, riportano questa errata espressione: «La scienza psicologica prevede l'utilizzo dell'introspezione, vale a dire un momento di osservazione e di analisi dei contenuti di coscienza», dando per scontato che la psicologia sia una scienza e che l'introspezione sia un metodo scientifico, quando non è vero né l'una né l'altra cosa.

 

IL PROCESSO PSICOLOGICO SECONDO WUNDT

Per Wundt il processo psicologico si basava su tre fasi:

1.     la percezione, ossia le sensazioni si presentano in quanti tali alla coscienza (è lo stimolo in quanto tale, per come si presenta alla coscienza).

2.     L’appercezione: con un atto di sintesi creatrice, gli elementi delle sensazioni vengono identificati e organizzati in complessi  (questo termine oggi non è più usato in psicologia). In altri termini, le sensazioni che sono state raccolte nella fase della percezione vengono poi organizzati in qualcosa di più complesso ed articolato e vengono decodificati. La sintesi creatrice è l'unificare in complessi le sensazioni.

3.     La volontà di reazione: per Wundt è un atto volontario. L’attività psicologica per Wundt non è mai un’attività passiva, ma richiede due forme di attività: una, s’identificano gli oggetti se si riesce a compiere una sintesi delle sensazioni; due, si reagisce agli stimoli che ci giungo attraverso un atto di volontà.

Wundt ha elaborato una teoria trifattoriale dei sentimenti, che ha avuto una grande applicazione ed influenza nella psicologia. Secondo Wundt ogni sentimento può essere inquadrato su tre dimensioni indipendenti che determinano uno spazio tridimensionale, di tipo cartesiano. In altri termini, questi tre fattori possono essere considerati come tre assi di uno spazio cartesiano, indipendenti fra di loro, X Y e Z, che determinano uno spazio. Il primo asse, bipolare, è quello del piacere/dispiacere. Il secondo asse è di tensione/rilassamento. Il terzo asse è di eccitazione/calma.

Wundt arrivò a questa teoria in modo semplicissimo: utilizzando un metronomo. Immaginate un metromeno che si mette a ticchettare molto lentamente. Tra un ticchettio e l’altro trascorre un intervallo di tempo, tac… tic. Se si fa la prova, ci si rende conto che tra un tic e un tac proviamo dei sentimenti che sono contrassegnati da questi tre aspetti indipendenti: un tac porta ad uno stato di tensione, l’altro il rilassamento; uno l’eccitazione, l’altro la calma e così via.

Wundt basandosi sull’esperimento del metronomo estese la sua teoria dei sentimenti a situazioni più complesse, motivazione verso determinati esiti di attività e così via. Vide, che tutte le cose verso cui si potevano provare dei sentimenti potevano essere analizzate attraverso questi fattori. Questa teoria trifattoriale ha avuto un’influenza enorme alla fine del ‘800[5].

OBIETTIVI DELLA PSICOLOGIA SPERIMENTALE:

a)     ridurre i processi consci alle loro componenti più semplici e fondamentali;

b)    determinare le relative leggi combinatorie;

c)     porre gli elementi in rapporto con le loro condizioni essenziali.

Titchener riteneva che vi fossero tre stati elementari di coscienza: le sensazioni, immagini e gli stati affettivi. Le sensazioni sono gli elementi fondamentali della percezione e ricorrono nei suoni, odori, immagini visive, ecc; le immagini mentali sono le componenti delle idee e compaiono nel processo che raffigura o rappresenta alla coscienza esperienze non simultanee, come il ricorso di un evento passato; gli stati affettivi sono le componenti elementari delle emozioni e sono reperibili in esperienze del tipo: amore, odio, tristezza. Secondo lo strutturalismo, l’introspezione è l’unico metodo utilizzabile dalla psicologica fisiologica perché le sensazioni, le immagini mentali e gli stati affettivi sono contenuti nella coscienza. L’uso dell’introspezione richiede che lo studioso chieda ai soggetti di riferire le sensazioni (“immediate”, “pure”) provate di fronte ad un determinato stimolo, seguendo regole molto rigorose.

STRUTTURALISMO E FUNZIONALISMO

Non senza creare etichettamento, la psicologia di Wundt viene chiamata anche strutturalismo.
Il termine strutturalismo fu ideato dal suo allievo inglese E.B. Titchener (1867-1927) che insegnò negli USA. Titchener esercitò per più di un trentennio un dominio assoluto su buona parte della psicologia americana. Era un barone universitario di un potere eccezionale. L’American Psichology Journal fino alla sua morte pubblicava solo articoli filo-strutturalista, dopo la sua morte, invece, se ne guardò bene dal farlo. Il che la dice tutta sul potere di Titchener e sull'ascientificità dello strutturalismo.

La scuola psicologica che gli si oppose in America ispirata dall’evoluzionismo, fu il funzionalismo, il cui iniziatore fu il filosofo Williams James. In pratica, cosa differenziava il funzionalismo dallo strutturalismo? Tra l’altro fu curioso che il nome funzionalismo fu dato dalla scuola avversaria, proprio da Titchener, in un articolo dove affermava che ci sono due modi di fare psicologia: uno è quello di studiare la struttura della mente. Vale a dire, i contenuti mentali che possono essere evocati mediante il processo dell’introspezione. L’altro, era quello di studiare le funzioni della mente. A suo avviso, la psicologia seria era quella che studiava la struttura, per lasciare agli altri lo studio delle funzioni che considerava sfuggente.

E’ interessante osservare che anche William James era stato allievo di Wundt. William studiò a Lipsia con Wundt e tornato negli USA fondò una psicologia in contrasto con lo strutturalismo. Non solo negli USA, ma anche in Europa al volgere del secolo si sarebbe avuta una forte reazione contro la psicologia di Wundt.

Bibliografia e fonti:

·       Arrigo Pedoni, Manuale di Psicologia, Armando, Roma 2003.

·       Binazzi A./Tucci F. S., Scienze sociali, Palumbo, Firenze 2004

·       Galimberti U., Dizionario di Psicologia, Garzanti, Torino 1999

·       David G. Meyers Psicologia, Zanichelli 2000

·       Riccardo Luccio, I classici della psicologia, ed. Rai, Roma 2007

·       Selg Hebert, Introduzione alla psicologia sperimentale, Giunti, Firenze 1975

·            Watson J.B., La psicologia da un punto di vista comportamentista, 1913 in Arrigo Pedoni, Manuale di Psicologia, Armando, Roma 2003.

·            Watson J. B., La psicologia così come la vede un comportamentista, in Antologia di scritti, a cura di P. Meazzini, Il Mulino, Bologna 1976.
Note

[1] U. Galimberti, Dizionario di Psicologia, Garzanti, Torino 1999
[2] Riccardo Luccio, I classici della psicologia, ed. Rai, Roma 2007.
[3] David G. Meyers,  Psicologia, Zanichelli 2000, p. 2
[4] Riccardo Luccio, I classici della psicologia, op. cit.
[5] Riccardo Luccio, I classici della psicologia, op. cit.