Prof. Dott. Saverio Fortunato
Specialista in Criminologia Clinica, con specializzazione conseguita alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Perfezionato in Sicurezza e Criminologia
Perfezionato in Linguaggio e Comunicazione
Abilitato per l'insegnamento di Filosofia, Psicologia e Scienze dell'Educazione (Classe A036)
Specializzato per l'insegnamento agli alunni portatori d'handicap
Direttore di Criminologia.it

 

 

 

 Prefazione al "Nuovo Manuale di Metodologia Peritale" di Saverio Fortunato
di Prof. Francesco Sidoti
(Presidente Corso di Laurea in Scienze dell’Investigazione all’Università di L’Aquila)


F. Sidoti

Questo volume è un importante contributo alla definizione delle tematiche che interessano criminologi, criminalisti, periti e consulenti tecnici in ambito giudiziario. Volentieri ho scritto la prefazione per la prima edizione; ancor più volentieri scrivo la prefazione per la seconda edizione, tentando di inquadrare l’opera nel campo culturale di appartenenza[1].

In prima battuta bisogna osservare che l’opera stimola ed arricchisce la discussione in un settore che lascia a desiderare sotto vari profili. Per un’ampia serie di ragioni, la criminologia, la criminalistica, l’investigazione vivono in Italia una vita grama, largamente in contrasto con gli sfolgoranti inizi dell’epoca lombrosiana.

Quasi per compensazione, in un panorama deludente, la situazione italiana è però caratterizzata dalla positiva incidenza della magistratura, che ha in Italia un ruolo senza pari negli altri Paesi occidentali. L’opera del professor Fortunato si impegna innanzitutto con genuina passione in favore di una leale collaborazione dei periti con gli organi giudiziari, condotta nella maniera più avvertita possibile. Non a caso questo volume contiene testi assai rilevanti ed illuminanti di due magistrati. E’ infatti indispensabile un pressante controllo di legalità della magistratura nel percorso investigativo e sono favorevole ad ogni tentativo di migliorare e rafforzare questa maniera di vedere il lavoro peritale. Valutata la contraddittorietà e la opinabilità di numerosissimi risultati peritali, per fortuna il Giudice è peritus peritorum! Per una serie di intricate ragioni, in Italia la magistratura ha dovuto svolgere un ruolo di supplenza anche in questo campo, sviluppando per necessità competenze ed anticorpi.

Tanto è avvenuto sul piano strettamente professionale, e si coniuga con quanto è avvenuto sul piano strettamente politico e morale: è stranoto che molti magistrati hanno dato luminoso esempio di virtù civili e professionali in un contesto nazionale che a volte purtroppo lascia a desiderare.

Il volume insiste inoltre in una direzione finora non sufficientemente esplorata: il profilo squisitamente metodologico, che ha una importanza enorme negli studi odierni relativi alla investigazione, alla criminologia, alla criminalistica, al lavoro peritale in genere. Secondo il professor Fortunato, il consulente o perito non può essere soltanto un esperto in un determinato ambito tecnico disciplinare (medico-legale, psichiatrico, psicologico, balistico, ingegneristico eccetera), ma deve avere alcune basilari conoscenze metodologiche, senza le quali un sapere meramente specialistico rischia di pervenire a risultati erronei.

Condivido pienamente questo punto di partenza in merito alla necessaria connessione tra sapere metodologico e sapere specialistico. Errori, dubbi, polemiche hanno costellato la nostra storia giudiziaria, dai grandi processi di mafia ai tanti delitti classificati come compiuti da autore ignoto (mentre molto probabilmente il colpevole aveva lasciato una qualche traccia, non raccolta, repertata, valutata nella maniera idonea). Dall’inizio della Repubblica, milioni di persone sono rimaste coinvolte ingiustamente in procedimenti giudiziari; ogni giorno, grosso modo, c’è in Italia un innocente che viene mandato in galera e un assassino che riesce a farla franca.

Non è un problema soltanto italiano; è documentato che negli Stati Uniti una spaventosa percentuale di condanne a morte è viziata da errori di vario tipo[2]. Secondo uno studio assai documentato, gli errori più sconcertanti si riscontrano in oltre la metà dei casi! Non c’è da meravigliarsi: l’11 settembre

e le polemiche sulle motivazioni della guerra in Iraq hanno dimostrato fra l’altro quanto sia difficile un lavoro investigativo rigorosamente basato su fatti e prove. Questa consapevolezza mi ha portato ben prima dell’11 settembre alla fondazione di un Corso di Laurea in Scienze dell’Investigazione, che ha ottenuto successo proprio perché, fra l’altro, corrisponde ad un bisogno diffuso (e insoddisfatto) di giustizia e di certezze.

Nella prefazione alla prima edizione di questo volume scrivevo: “Nei tentativi pionieristici si rischia a volte di fare il passo più lungo della gamba. Non sono d’accordo su tutto quanto ho letto in questo volume, anche perché non sono (e non posso essere) competente su tutto quanto viene presentato.

Nei campi specialistici che conosco meglio, come nel caso delle critiche agli eccessi del fondamentalismo psicologico e psichiatrico, mi trovo d’accordo”.

Questa mia precisazione non era un tentativo di prendere le distanze: rappresentava la piena adesione al manifesto epistemologico del volume, che riconosce l’ignoranza, il dubbio, il fallibilismo come elementi fondamentali. Di fatto, su molti temi criminologici, io stesso nel corso del tempo ho cercato di migliorare o rielaborare le mie conoscenze, sia in settori specifici sia in un ambito di carattere più generale[3]. Ma oggi, come allora, riconosco che su alcuni temi il professor Fortunato ha una competenza maggiore della mia, coerentemente con quella autorità di criminologo clinico conquistata dopo anni di studi e di sacrifici. Nella parte più propositiva, infatti, questo lavoro nasce dalla ricerca di tesi presentata presso la prestigiosa Facoltà di Medicina dell’Università di Modena e Reggio Emilia, dove l’autore ha coronato il suo itinerario formativo di criminologo clinico e dove gli studi criminologici hanno una tradizione e un’autorevolezza consolidate.

Sul piano strettamente metodologico, avrei qualcosa da aggiungere, come accade a tutti gli specialisti che leggono il lavoro di un collega. Ma tutte le possibili aggiunte debbono arretrare al cospetto dei meriti del volume. In particolare, c’è un punto sul quale si ribatte frequentemente: i limiti odierni delle perizie, spesso formulate con poca cognizione dei confini strettamente metodologici.

Per quanto riguarda gli studi psicologici e psichiatrici, ad esempio, esiste un notevole consenso sui rispettivi limiti, come scienze di certezze (mentre, ovviamente rimane indiscusso il grande valore come strumento terapeutico e interpretativo, quando è in buone mani). E’ in proposito significativo che la rinascita internazionale della psichiatria biologico-organicista avvenga in un ambito che è stato ritagliato proprio per l’impossibilità (ed a volte l’impresentabilità) di risultati decenti in ambiti tematici confinanti. Le molte critiche devastanti alla psicanalisi possono in larga misura essere estese anche a quella psichiatria che nasce e cresce in concorrenza con la psicanalisi, ma per sovrapposizione, copiandone dunque a volte in maniera acritica precisamente gli assunti metodologici più inconsistenti, come la presunzione dell’analista di potersi calare al pari di un sempre luminoso speleologo dentro qualunque buia voragine dell’anima umana. Questi limiti sono ancora più evidenti ed eloquenti in certe analisi impropriamente dette criminologiche, ma effettivamente condizionate da un livello formativo che include conoscenze psicologiche e psichiatriche ancora inferiori rispetto ad una formazione specialistica.

Al di là del piglio battagliero di alcune parti dell’opera, rimane importante e decisivo che l’autore sia consapevole di quanto le proprie righe sono in parte provvisorie: andranno modificate, arricchite, integrate con varie altre conoscenze scientifiche. Questa impostazione rifulge dove l’autore scrive che il perito deve avere ben chiaro che la cosa più importante non è dare la risposta giusta, ma evitare la risposta sbagliata. In questa impostazione epistemologica esistono molte verità: quella processuale è soltanto una verità ed a volte non è la verità vera, come hanno insegnato magistrati eminenti, a cominciare da Ferdinando Imposimato, che scrive: “Nella mia non breve esperienza, non è stato infrequente l’errore dei periti. Insomma, compiono spesso il loro lavoro sotto la spinta di fattori emotivi, di elementi extrascientifici che li conducono a conclusioni lontane dalla verità. E questa è una delle cause più frequenti dell’errore giudiziario. Non mi riferisco soltanto ai periti psichiatrici, ma anche a quelli balistici, grafici, ai medici legali in genere. Le perizie, specialmente nei grandi processi, sono un dato costante della ricerca della verità. A volte allontanano dalla verità, perché compiute da persone che non sono in grado di far bene il proprio lavoro - anche se solo raramente si tratta di persone in malafede”[4].

Nel processo, il metodo è talmente importante da essere spesso preminente rispetto al merito: una prova vale in quanto è stata raccolta seguendo regole e procedure delimitate preventivamente nella loro ammissibilità. I principi della pubblicità e della replicabilità sono dal punto di vista del metodo peculiarmente connessi, sia nella ricerca scientifica sia nell’investigazione giudiziaria: nel processo d’appello giudici diversi ripercorrono un determinato itinerario processuale, allo stesso modo di come in laboratorio un gruppo di ricercatori ripercorre le varie fasi di un determinato esperimento scientifico. In molte indagini spesso il quadro indiziario è polivalente e, in mancanza di prove certe, nessuna ipotesi può essere esclusa. I pubblici ministeri lavorano, più che su certezze, su quella che è definita “l’ipotesi preferibile”, sorretta da un livello molto alto di probabilità. Il ragionevole dubbio esclude l’ipotesi peregrina.

Anche per quanto riguarda l’ipotesi preferibile, il processo non sempre produce certezze giuridiche e non sempre produce ricostruzioni completamente attendibili; di norma produce soltanto probabilità di grado elevato, con rilevanti e frequenti errori, fraintendimenti, ingiustizie. Nella prospettiva di un diritto penale minimo e mite, tanto più è modesta l’attività giudiziaria, tanto più sono ridotte le possibilità dell’errore e dell’inganno. La teoria giuridica ha osservato che, nella determinazione di probabilità conclusiva del processo, non c’è alcun criterio matematico o rigido sul quale confidare, e ci si deve confrontare con una “prevalenza rilevante”[5]. Insomma, pur partendo da un’ipotesi affidabile, nel discorso giuridico la prova non è mai definitiva.

Al centro del processo c’è la ricerca della prova, raccolta in maniera conforme a regole e in maniera da poter essere correttamente utilizzata. Ma questa ricerca si svolge dentro una controversa e contrastata battaglia cognitiva, che alla fine non sempre risolve lo stato di incertezza probatoria e spesso mette in questione la stessa attendibilità della decisione giudiziaria.

Nel processo, in termini specifici, si deve parlare di un “risultato di prova”, non della prova intesa in un senso banalmente vetero-positivistico, come nel caso del codice penale italiano del 1930 o nel senso a volte ambiguo delle innovazioni codicistiche successive. Come è stato detto impeccabilmente da Franco Cordero: “muto in se stesso, ogni indizio conta gnoseologicamente quale termine di una concatenazione causale”; tanto vale per ogni “fatto” nell’argomentazione processuale: muto in se stesso, ha valore all’interno di una concatenazione razionale[6].

Il punto è centrale per la logica di ogni investigazione: il processo penale non produce certezze, anche dopo una sentenza definitiva! La verità processuale naviga tempestosamente tra ipotesi, abduzioni, prove preferite, prove rifiutate, e comunque non approva nel porto definitivo di una imperturbabilità dogmatica. Alla fine, l’investigazione sull’investigazione è una lezione di estrema modestia e di misurata prudenza[7].

Nella difficoltà di attingere la verità definitiva su una determinata contingenza fenomenica (mentre le verità parziali, di parte, possono essere più o meno fedelmente rappresentate), gli aspetti metodologici hanno un rilievo preminente e sono comunque di importanza non secondaria, perché riescono a delimitare quanto effettivamente è conoscibile e dicibile, lasciando da parte ipotesi, speculazioni, illazioni, che hanno diritto di cittadinanza come partenza, fermento, accompagnamento dell’itinerario conoscitivo, ma rimangono completamente esterne alla sua logica e alle sue conclusioni. Mi è accaduto di scrivere la premessa ad un manuale di criminologia, mentre il Procuratore Nazionale Antimafia Piero Luigi Vigna scriveva per lo stesso volume una splendida prefazione, che cominciava con una definizione della criminologia come “oggetto misterioso” e terminava con un elogio del dubbio, come “insostituibile momento preliminare del conoscere”11. Spero che la lettura di questo manuale del professor Saverio Fortunato costituisca l’occasione per far aumentare dubbi e cautele, dunque preparazione metodologica.

E’ vero che viviamo in una “società dello spettacolo”, incline a mettere in evidenza gli aspetti più appariscenti e sensazionalistici dell’agire umano, con un frequente ricorso a certezze illusorie e consolatorie12; ma l’attività di collaborazione con i magistrati è un’attività di gran lunga differenziata, che si appella alla scienza, un valore che secondo molti si potrebbe porre allo stesso livello della giustizia. La scienza, come la giustizia, si nutre di cautele e di dubbi prima ancora che di certezze. La preparazione metodologica è un rimedio importante contro la proliferazione dell’azzardo, dell’errore, dell’inganno.

L’Aquila, 15 luglio 2007
 

.................................................................................................................... Note ..................................................................................................................
[1] In generale, cfr. P. Bourdieu, Les Règles de l’art. Genèse et structure du champ littéraire, Seuil, Paris 1992; P. Bourdieu, Science de la Science et Réflexivité. Cours au Collège de France 2000-2001, Raison D’Agir, Paris 2001, trad. it., Il mestiere di scienziato, Milano, Feltrinelli, 2003. Per maggiori considerazioni in merito allo specifico campo culturale esistente in Italia sui temi della sicurezza, della criminologia, dell’intelligence, mi sia consentito di rinviare alla mia Prefazione al volume dell’ambasciatore Domenico Vecchioni, Spie.
Storia degli 007 dall’antichità all’era moderna, Olimpia, Sesto Fiorentino 2007; adesso e in seguito, il rinvio a mie altre opere deve essere inteso come una segnalazione di approfondimenti che per ragioni di spazio non posso specificare in questo contesto.
[2] Cfr.. F. Sidoti, Criminologia e investigazione, Giuffré, Milano 2006.
[3] Cfr. F. Sidoti - A. Casto, Macchina della verità. Inventata in Italia ha successo negli USA, perché?, Laurus Robuffo, Roma 2007, con prefazione di Alberto Intini.
[4] Cfr. F. Sidoti (a cura di), L’investigazione e le scienze umane, con prefazioni del giudice Piero Martello e del prefetto Carlo Mosca, Edizioni Libreria Colacchi, L’Aquila 2005, p. 171.
[5] Cfr. i riferimenti discussi in F. Puleio, Prova scientifica e ricerca della verità, in “Diritto e giustizia”, gennaio 2006, a. VII: F. Cordero, Note sul procedimento probatorio, in Jus, 1963, e Carnelutti, Accertamento del reato e ‘favor rei’, in Riv.dir.proc., 1961, p. 342.
[6] F. Cordero, Procedura penale, Giuffrè, Milano 1991, p. 555.
[7] F. Puleio, op. cit., p. 62.

 
 

Criminologia.it - 2008